Shakespeare in print, Shakespeare re-written

Autore: Carla Dente, et al. - Referenti scientifici: Carla Dente e Sara Soncini

© Pisa University Press 2016
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INTRODUZIONE

Una delle prospettive da cui si può guardare al senso dell’opera di Shakespeare nella globalità contemporanea è quella, mobile, della ricostruzione della diffusione capillare in Inghilterra, prima, e da lì nel resto del mondo poi, sia dei suoi testi, sia di quelli nuovi che ha ispirato ad autori diversissimi tra loro e diversi dall’autore originario, nel corso di questi ultimi quattro secoli, in Europa e poi nel mondo.

Procediamo dunque ad una mappatura della oggettificazione (commodification) di ‘Shakespeare’ come costrutto materiale e culturale tramite la disseminazione della sua opera complessiva.

Sembra ovvio cominciare da un discorso sul testo, in un periodo in cui il testo drammatico non aveva uno statuto letterario accettato; laddove poi esisteva come testo nella sua interezza, e il dato non è sempre scontato, era considerato una proprietà non del suo autore ma della Compagnia, alla stregua di ogni altro oggetto di scena necessario alla realizzazione dello spettacolo. Qualsiasi indagine che fosse volta ad una investigazione critica dei processi creativi shakespeariani dovrebbe comunque passare per una ricerca sui testi, specialmente sulle diverse versioni di uno stesso testo, che ne riflettono una immagine instabile ma feconda di suggerimenti di metodo e di contenuto.

In Gran Bretagna, nel 1557 Mary Tudor istituì lo Stationers’ Register, che peraltro era concepito come uno strumento il cui interlocutore non era il singolo autore o lo stampatore, ma lo Stato; è solo nel 1710, sotto l’egida di Anna Stuart, che si promulga una legge che mira a garantire i diritti della proprietà intellettuale agli autori per un numero minimo di anni, quattordici, eventualmente rinnovabile se l’autore alla scadenza fosse stato ancora vivente. Si tratta di una vera e propria pietra miliare nella storia del diritto di autore a cui tutti gli altri statuti europei in seguito si sono ispirati.

Recentemente è stata comprovata la teoria, già avanzata in passato, che nel Rinascimento l’autorialità del testo di teatro nella maggior parte dei casi fosse il risultato di una collaborazione di vari autori il cui contributo era essenziale per fornire alla Compagnia e all’impresario il numero di copioni necessario per fornire intrattenimento sempre nuovo per la stagione. Questo ambito di studi ha recentemente conosciuto contributi fondamentali e imprescindibili [Brian Vickers 2002; Tiffany Stern 2007, 2009; Gary Taylor 2007]. Si può aggiungere che della instabilità del testo può essere responsabile anche Il processo autoriale di revisione del testo, che può essere ipotizzato in opposizione alla tradizione che vede Shakespeare non curarsi più dei suoi testi dopo la realizzazione del primo spettacolo, e in concreto con una analisi testuale puntuale delle versioni di quei drammi di cui sono giunte fino a noi versioni multiple, quelle delle edizioni in-Quarto, oltre a quella di F1. La teoria della revisione autoriale dei testi, o almeno di certi testi, è stata sostenuta con forza da Stanley Wells che ne discute la casistica: si ricorda che nel 1606 fu promulgato un Atto parlamentare che proibiva “profanity on the stage” e che quindi comportava la necessità di rivedere i testi di quei drammi in repertorio. Di pari passo la censura per motivi politici era molto attiva e richiedeva necessariamente un adeguamento alle richiese del censore. Sicuramente si sono verificati casi in cui piccoli adattamenti si rivelarono necessari per ragioni pratiche anche per mani diverse da quelle dell’autore, oltre che probabilmente a lui suggerite dalle prove in teatro.

Desidero giustificare la mia attenzione alla diffusione delle edizioni complete a stampa dei testi shakespeariani a partire da una riflessione oggi ovvia sulla natura duplice ed ambigua del testo drammatico, ad un tempo testo letterario ma anche altro rispetto alla letteratura. Testo incompleto, almeno fino alla sua realizzazione scenica. La natura effimera dello spettacolo, però, ha trovato un solo ostacolo alla completa dissoluzione del lavoro dopo l’ultima scena di una rappresentazione, il testo scritto, destinato a fare da canovaccio ad ogni successiva produzione dello spettacolo e che costituisce, quindi, il presupposto della sua ripetibilità scenica. Un testo scritto, quello drammatico, che contrariamente a qualsiasi altro testo solo letterario, non è sacralizzato e quindi intoccabile ed immutabile nella sua superficie lineare, ma si presta ad ogni modificazione e riscrittura per attualizzare tutti i suoi possibili significati e anche altri che può suscitare in una ricevenza, mutata rispetto a quella iniziale di riferimento, per certi versi codificata e proiettata nel testo dall’autore primo.

Il fenomeno ‘Shakespeare’ come costrutto culturale, dunque, si compone, si descrive e si conserva in archivio mettendo insieme almeno tre diversi inventari di materiale primario, tralasciando l’ingente massa di materiali critici accumulatisi nel tempo e in dialogo tra loro.

Il primo inventario è quello degli Archivi teatrali che a partire da quello dei King’s Men, conservano copioni, raccolte di testi e repertori, oggi anche in formato microfilmato o digitale.

Il secondo inventario è quello delle edizioni a stampa, a partire dalle prime, che ci dicono molto della diffusione dell’influenza di Shakespeare in Inghilterra ed oltre, e che sono stati responsabili nel tempo anche di una fluidità di fruizione dei testi. La fruizione dei testi shakespeariani a partire da un certo periodo diventa infatti non più esclusivamente teatrale, ma se ne prevede un consumo in situazione anche di sola lettura del testo, considerato a tutti gli effetti come qualsiasi altro testo poetico.

Il terzo inventario è quello delle riscritture, prodotti della creatività di altri scrittori profondamente impressionati dai testi di Shakespeare, ma allo stesso tempo profondamente imbevuti di altri paradigmi culturali a loro contemporanei, che possono frequentare anche generi letterari diversi da quello teatrale. In particolare si pensa all’immaginazione culturale e letteraria dell’Inghilterra per cui si documentano, a partire dal 16° secolo, anche trasformazioni di genere ed incontri con l’Altro in termini razziali e culturali.

Dal momento che il quadro nel quale iscriviamo i fenomeni della transculturalità è quello del movimento, della diffusione, della disseminazione e dell’incontro di testi, edizioni, spettacoli e di esperienze culturali diverse che nascono in Shakespeare e da ‘Shakespeare’, la geografia della cultura potrebbe indirizzarci ad una considerazione complessiva dell’impatto shakespeariano in Europa, in America, in Asia,in Arabia e in Africa, in Australia, per la quale esplorazione una fattiva collaborazione con quei tanti studiosi che hanno lavorato e lavorano in questi settori sembra imprescindibile e che qui si invita caldamente. La retorica della oggettificazione dell’impatto di Shakespeare è un modo efficace per trattare di e con culture diverse e nazioni diverse, nella consapevolezza che la relazione tra soggetto ed oggetto è una relazione nella quale l’uso, l’interazione e lo scambio ‘costruisce’ in modo nuovo il soggetto stesso, suggestivo di desideri, fascinazionio ‘anxiety’, à la Harold Bloom o meno.

Bibliografia essenziale

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